Pleniluni e Quarti di Luna

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    Un amore

    19 luglio 2015

    La bionda era sola, l’ho vista, sul bordo del letto. Seduta, un po’ chinata verso il comodino. Sopra al comodino, una foto. Un tizio vestito da aviatore, a mezzo busto, con il berretto rigido, le mostrine e i gradi: maggiore. Oddio, un pilota! militare, per giunta. La cornice era preziosa, argento lievemente sbalzato, e tuttavia un po’ pacchiana, di quelle che vendono i gioiellieri ma le fabbricano a Singapore. Ovvio, gliel’ha regalata lui. Il soldato.
    E lei lo guarda, là sulla foto. Bell’uomo, anche, par di capire chiaro di pelle e di pelo, forzando un po’ l’immagine in bianco e nero. Occhi azzurri o verdi, certo, rasato di fresco, dei capelli solo le basette in vista. Ecco,sì, le orecchie sono proporzionate, non le sventole che si solito sembrano dare robuste maniglie a queste teste rapate. Lo guardo: deve essere il suo uomo. Piange, difatti. Quello va in giro per il mondo, dice a fare la guerra. O chissà cos’altro. Che sia la sua donna ancora? Si alza, la bionda. Si ravvia i capelli. che le cadono morbidi dietro le spalle, lasciano in vista le gote e le orecchie. Gira per la stanza, sistema dei fiori – orchidee rosa e bianche – in un vaso di maiolica che sta sopra il comò. Piega una camicia e la sposta dalla sedia a dondolo a un cassetto dell’armadio – una camicia maschile, a quanto si vede, coi polsini ripiegati che aspettano i gemelli, azzurro cielo sbiadito. Chiude il cassetto con una certa violenza: gli angoli delle labbra le si piegano all’ingiù, una smorfia di disgusto si direbbe. Passa davanti allo specchio. Si asciuga con due dita le lacrime che ha ancora agli occhi.
    Ora, si siede di nuovo davanti alla foto in cornice. La prende in mano; piega il supporto che la regge, dietro. E la poggia sul comò, con l’immagine in giù. Ora, sopra, ci trovi un pacco di riviste, una collana nel suo fodero, un blocco per appunti e un astuccio di fondotinta.

    Una giornata al mare

    12 giugno 2015

    Fra le onde alte, tirate su da un vento teso che leviga la pelle e annulla il sudore. E gli scogli e gli alberi, dietro. – Sì, ma quella città. Io non ci voglio andare, quella torre mi fa paura. Ci staranno sopra cento guardiani, coi loro cannocchiali. Mi hanno detto che affittano le finestre ai guardoni, a peso d’oro, che i telefoni sono intercettati. – E io ci vedo invece, accidenti se ci vedo. Con un tetto sopra la testa, e i negozi, e le strade animate del centro, e tram e tassì. Ci compri quello che vuoi, se hai fame o altri ghiribizzi. Questi discorsi erano spiati, davvero. Un topo marinaro, allora allora salvatosi fra i primi da una nave che stava affondando, tendeva le orecchie per sentire meglio. Aveva fame, povera bestia, che magra traversata, su quella vecchia carretta! e si decise: meglio la città! Se la passò benissimo: piazzato vicino a un bidone di rifiuti, che visitava nottetempo da consumato viveur, prosperava senza fatica, a poco a poco diventò una specie di ras del quartiere. Se ne accorse anche lui, delle torri, dei cannocchiali, delle telecamere, delle fotocellule. Ma quelle non lo vedevano proprio, cercavano selvaggina ben altrimenti grossa.
    Ogni tanto tornava sulla riva del mare, a scrutare l’orizzonte, per vedere caso mai arrivassero i suoi parenti, quelli che stavano con lui sulla barca affondata. E gli capitava di sentir berciare i due, “no in città io mai”, “macché, domani ci vado, giuro che ci vado, accidenti”. Tanto che si stufò la povera bestia: ma era inutile, quelli, da là non si schiodavano.

    L’erma

    12 maggio 2015

    – Dimmi una volta. Sei andato davvero laggiù?
    – E chi può saperlo? più ti spingi avanti, più scende la luce. Tu dici laggiù e ti immagini il buio? allora, sì, sono stato laggiù.
    – Eppure, quel profeta, quello che sembrava un cammello spelato, tanto liso era il suo saio, l’ha detto chiaro ed era tutto illuminato: c’è la luce, esclamava fervido, laggiù c’è la luce! e ti abbaglia, e ti prende, e ti fai luce anche tu, e illumini, e ti illumini e rischiari. Diceva, e lo ascoltavano tutti, le bocche spalancate in cerchi orbicolari perfetti.
    – Facile fare il profeta: andarci bisogna. Tu pensi che abbia ragione, quel tuo vecchio indovino? non saprei se ci sia luce laggiù, sono certo soltanto che non si vede niente.
    * * *
    All’ingresso del porto l’erma osserva perplessa il lago, il faro, il castello, la luce occhio notturno del cielo. Non si sa chi l’ha fatta: son vecchie canzoni che narrano storie. Poeti, profeti. maniscalchi, marinerie. Agglutinate passioni. E dicono ancora, dell’erma, che certe notti di luna piena si possa sentirla cantare, solo si abbia bevuto proprio di quel vino. Su quale sia, quel vino, ognuno ha visioni diverse: ma se lo chiedi alla taverna sul molo, è proprio quello che non si trova mai.